mercoledì 24 settembre 2008

Fantastiche... scommesse!

Nel centro di accoglienza di Mataruška Banja, ex complesso alberghiero del centro termale, adibito a rifugio per profughi e sfollati delle varie guerre degli anni ’90, Rosa Lazić ci accoglie venendoci incontro nella piazzetta centrale con la fontana.
Ci fa entrare nel suo alloggio, un ex bagno di tre metri per quattro dove, ci dice, vive da poco tempo. Prima stava coi genitori nella stanza a fianco, stesse dimensioni. Ora questa si è liberata e lei ha potuto starci, per questo ultimo periodo. Ha dovuto coprire alla meglio le tubazioni, che non portano più acqua ma, comunque, tanta umidità. Ma le mattonelle alle pareti, quelle le ha lasciate.
- Non ce la facevo, troppo lavoro!
Quando entriamo, c’è anche la sua anziana mamma, 84 anni, seduta sul letto. Il padre, di qualche anno più giovane, non c'è. Rosa, lentamente e dolcemente, la accompagna fuori, nella sua stanza. Quando torna, ci racconta dell’operazione agli occhi subita dalla madre, pochi mesi fa, operazione dalla quale non si è più ripresa. Oggi, la mamma non vede più.
Piange Rosa, discreta e silenziosa, mentre ci prepara il caffè, che berremo insieme. Ci versa del succo d’arancia e ci offre anche un liquore alle visciole fatto da lei.
- Parli bene l’italiano, Rosa! Dove hai imparato?
- Sono stata cinque anni a Trieste. Bella, Trieste...
Trieste, in lingua serba, si dice Trst, senza vocali. Così, diventa un suono che evoca tristezza...
- Quando c’è stata la guerra, ho lasciato tutto e sono venuta qui perché i miei genitori erano fuggiti dal Kosovo, senza più niente. Ho pensato... “Adesso vado, gli do una mano a sistemarsi...”, erano anziani e anche molto provati dalla fuga e dal dramma vissuto, “... e fra una decina di giorni torno.”. Sono passati dieci anni...
Prende delle foto, Rosa, che ci mostra volentieri.
Immagini da un’altra vita rimescolano ricordi, la tristezza ci prende il cuore. Una vita serena, fatta anche di prospettive e orizzonti da raggiungere, magari piccoli, discreti e umani, ma necessari all’esistenza, tutto sconvolto da eventi più grandi di noi. E incomprensibili. E ingiusti. E lontani.
La rabbia sfuma nella rassegnazione. Rosa era l’unica a non avere figli. I due fratelli avevano famiglia e vivevano in Istria e in Slovenia, mentre la sorella fuggiva anche lei, con la sua, di famiglia, dal Kosovo. Alla fine è Rosa a doversi occupare dei genitori, anziani e malati.
Trieste è lontana, ormai, così come l’idea e, forse, la voglia di ritornarci.
Rosa ricama a mano, fa dei lavori molto belli. Ma anche i suoi, di occhi, sembrano non farcela più.
- Il dottore dice che non devo più lavorare, ma io aspetterò qualche giorno, mi riposerò e poi ricomincerò!
Fra due mesi, ci dice Rosa, anche gli ultimi 150 fra sfollati e profughi del centro dovrebbero essere sistemati altrove. Il centro è stato acquistato da privati per essere riportato alla sua funzione originale. Così, nel frattempo, hanno costruito delle case, piccole, 40 metri quadrati ciascuna, a Beranovac, vicino Ratina, comprensorio di Kraljevo.
- Le hanno fatte i tedeschi, con la cooperazione. In altre zone ci sono quelle fatte dagli italiani e sono migliori.
Altre case, più grandi, sono state costruite grazie ai fondi messi a disposizione da un giocatore di basket serbo, che gioca nella NBA americana. A quelle si accede tramite domanda, con graduatoria successiva a stabilire chi ne ha più diritto, e si dovranno pagare circa diecimila euro per diventarne, alla fine, proprietari definitivi.
Per queste dove dovrebbe andare Rosa, le famiglie pagherebbero solo un contributo mensile per acqua, elettricità e spese fisse. L’acqua...
- Se penso che avrò l’acqua in casa e un bagno tutto per me, non vedo l’ora di andare!
Non c’è acqua, infatti, in questo centro. Per averla, Rosa e gli altri devono uscire, andare a prenderla con secchi e bottiglie. E d’inverno, è dura.
Ma Rosa ha resistito. E resiste ancora. Da dieci anni. Quegli anni, che dovevano essere solo giorni...


Dopo una breve sosta al monastero di Žiča, torniamo.
La storia di Rosa ci rimane dentro, anche nel silenzio che circonda, fra i boschi di questa vallata che attraversiamo.
Abbiamo lasciato i ragazzi a casa di Ceca e Sonja Rakić e li troviamo che giocano a pallone, tutti insieme. Ci sono anche Saša e Andjela, Petko e Dejan, mischiati ai nostri figli. Snežana, la mamma di Ceca e Sonja, ma pure di Petko e Dejan, è felice di aver ospitato i nostri figli, anche se per poche ore, nella sua casa. Ci offre anche lei del liquore, uno alle visciole e uno alle noci, ma un altro caffè proprio non ce la facciamo a prenderlo.
L’atmosfera è bella, cordiale, si respirano gentilezza e amicizia.
A volte penso che molti di noi hanno più amici qui che in Italia.
E infatti, dobbiamo andare, perché alle cinque inizia la festa di Marko. Siamo venuti per lui, per i suoi 18 anni e allora andiamo.
C’è già molta gente. Novka, Marko, Milan e il piccolo Miloš ci accolgono, vestiti a festa, all’ingresso del giardino di casa, per darci il benvenuto ufficiale. Siamo vestiti un po’ a caso, poi abbiamo anche giocato con i ragazzi, prima. Ma non fa niente, Novka è felice. C’è commozione in quell’abbraccio. Veloci, passano negli occhi sei anni di vita, drammi e gioie, paure e speranze, partenze e ritorni. Ma ora, la musica risuona alta nel tendone preparato nel giardino che ripara dalla pioggerella leggera e che ospiterà gli invitati per due giorni di seguito.

Si mangia, si beve, si balla. Fa un certo effetto vedere i nostri figli ballare con piacere e in perfetta sintonia di tempi e passi, il kolo.
Ma è così, ormai, e questo da brividi di felicità.
E rilassa il volto e l’animo. Auguri ancora, Marko.



Anche in questo viaggio abbiamo portato cose.
Quattro computer, di cui uno nuovo regalato a Dragana, l’ultima arrivata nel gruppo ospitalità, proprio dalla famiglia che l’ha ospitata in estate.
Dragana, che è pure sostenuta a distanza da anni, vive a Vrnjačka Banja, altro centro termale, con la mamma Jelena.
Abbiamo poi consegnato gli altri. Sono computer usati ma risistemati molto bene da nostri amici prima della partenza. Verranno utilizzati al meglio perché questi nostri ragazzi stanno crescendo, ormai.
Ieri, venerdì, siamo andati a trovarne molti, anche dividendoci fra noi.
Resta un po’ di amarezza in chi non è riuscito a vederli proprio tutti, o a salutarne di nuovo qualcuno. E, magari, per non aver realizzato tutto ciò che ci si era prefissi alla partenza. Un’amarezza che ti porti dietro, nel viaggio di ritorno verso l’Italia. Un’amarezza che, alla fine, però, sfocia in altre idee, proprio come un fiume quando incontra il mare...
- Perché non cerchiamo un posto dove poter trascorrere insieme l’ultimo dell’anno? Sarebbe fantastico stare insieme quei giorni!
E allora... scommettiamo che, fantastico, lo sarà davvero?

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